Il passaggio a Nord Ovest .

Il numero incredibile di racconti, avventure, esplorazioni, leggende, storie inventate e storie autentiche inerenti al grande Nord riempie una quantità incredibile di libri. Ma nessuno che io sappia in lingua italiana. Da noi l’importanza del passaggio a Nord Ovest non è mai giunta e non fa parte della nostra storia né tantomeno della nostra cultura. Ed è un peccato perché questa ha davvero avuto per tutta l’umanità una rilevanza notevole. Dipanare e svolgere in modo ordinato questa enorme matassa di informazioni, volendolo fare in modo organico ed esaustivo, sarebbe a mio parere davvero interessante ma di sicuro al di la delle mie capacità, non essendo io nè uno storico né uno scrittore. Sono solo un dentista che si è appassionato e ha passato alcuni anni della propria vita a camminare sulle impronte lasciate secoli prima da alcuni grandi esploratori del Nord.

Andiamo quindi con ordine.

La ricerca del passaggio a Nord Ovest non era altro che la ricerca di una via di comunicazione. Nello specifico una via commerciale che permettesse di raggiungere le Indie partendo dall’Europa.

All’epoca della navigazione a vela la via per le Indie non era davvero un affare semplice ne privo di enormi rischi.

Se prendiamo una mappa del globo notiamo subito che una rotta verso l’ oriente, partendo dall’Europa, ci obbligherebbe a circumnavigare l’Africa. Lo stesso discorso vale per chi si avventura partendo dalla costa orientale dell’America del nord, a meno di volere circumnavigare l’America del sud e forzare controvento capo Horn!

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Non serve ricordare quanto l’apertura del canale di Suez (1869) e poi di Panama ( 1917) abbiano profondamente rivoluzionato la navigazione. Ma la ricerca della via per le indie nasce 4 secoli prima che i canali venissero aperti alla navigazione. Nasce con l’intuizione della sfericità della terra e col viaggio di Cristoforo Colombo del 1492 verso occidente. Purtroppo per lui esisteva un continente, allora ignoto, lungo circa 20.000 chilometri che estendendosi dall’artico all’antartico gli bloccò il passaggio.

Comunque sia una via per le indie fu alla fine trovata ma come dicevamo tutt’altro che semplice.

Consideriamo due fattori fondamentali. Primo la navigazione a vela dipende strettamente dai venti.

Secondo : fino a poco tempo fa la possibilità di risalire il vento ( la navigazione di bolina) era quasi nulla. Per cui si poteva viaggiare quasi esclusivamente col vento in poppa o al traverso. L’unica imbarcazione che riusciva a risalire decentemente il vento è stato il clipper Cutty Sark, si proprio quello raffigurato sulla bottiglia dell’omonimo wiskey :-). Si era però già verso la fine dell’ 800.

Ma  torniamo alla navigazione con venti portanti. A nord dell’equatore, nell’Atlantico, questi hanno un senso di rotazione orario. Quindi fin alle Canarie e Capo Verde tutto è facile. Poi, per via della forza di Coriolis, subentra la zona delle calme equatoriali con la loro quasi totale assenza di vento. Ma non basta, superate le calme nell’emisfero australe i venti dominanti hanno rotazione inversa cioè antioraria.

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Mappa dei venti del 13 gennaio 2014 : Si può notare come usciti da Gibilterra i vendi dominanti, per via dell’anticiclone delle Azzorre, soffino in direzione prima a Sud e poi ad Ovest verso i Caraibi. Nella zona centrale circa all’altezza del Brasile si osserva la quasi totale mancanza di vento, mentre a sud dell’equatore e in particolari modo verso la costa Africana si nota che la direzione dell’aria va verso Nord.

Quindi partendo ad esempio dall’Inghilterra la rotta era la seguente : Atlantico fino a Capo Verde poi tutto ad Ovest verso i Caraibi quindi a Sud lungo il Brasile e la costa Argentina fino a riprendere i venti portanti che con rotta di nuovo verso Est portano a passare capo di Suona Speranza in Sud Africa e finalmente quella fetenzia di ostico oceano che è quello Indiano. Approssimativamente 30.000 Km quando in linea d’aria sono solo 8.000!

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Non che tornare fosse poi più semplice. Rotta su Australia con il passaggio di capo Leeuwin in Nuova Zelanda, quindi oceano fino a doppiare  capo Horn. Arrivati all’Africa rotta a Nord di nuovo verso i Caraibi prima delle calme equatoriali e infine a Est passando a Nord delle isole Azzorre. Più o meno altri 36.000 km..

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Mi scusino i naviganti se parlando di mare uso i chilometri anziché le miglia nautiche, come sarebbe più corretto, ma questo forum è frequentato in larga maggioranza da ciclisti :-).

Occorre inoltre tenere bene a mente che queste rotte non sono percorribili sempre durante tutto l’anno. Per fare un banale esempio per andare ai Caraibi la stagione migliore è l’inverno quando l’anticiclone delle Azzorre è stabile e garantisce venti portanti per tutta la traversata. Mentre tornare è sconsigliato durante il periodo estivo per la possibile presenza dei cicloni in zona equatoriale. Questi dati erano conosciuti e dovevano essere tenuti ben presenti prima di pianificare un viaggio. E come sempre per essere ben conosciuti avevano richiesto e ottenuto  il loro tributo: il sangue e la vita dei marinai!

Infine, considerando la velocità delle imbarcazioni a vela, possiamo considerare che occorresse  un minimo di  6/8 mesi di permanenza in mare per completare tutto il tragitto. Fatte salvo, ovviamente, le eventuali complicazioni. E le complicanze non sono mai mancate, ne allora ne adesso, a chi va per mare. Più è lunga la durata del viaggio maggiore è la possibilità di incontrare burrasche. Ed è anche più difficile nutrirsi correttamente, visto la difficoltà di conservare le derrate alimentari e la mancanza cronica di acqua, e maggiore è ovviamente la possibilità di ammalarsi. Basta ricordare che lo scorbuto era estremamente comune per coloro che restavano a lungo in mare. Solo nel 1747, pur senza capirne le effettive cause e in modo casuale, venne trovato un rimedio, introducendo nella dieta degli agrumi, ma prima di allora era una piaga devastante. La vitamina C, la cui assenza nella dieta è responsabile dello scorbuto, venne isolata solo nel 1932! Ferdinando Magellano nel 1520 perse l’80% del suo equipaggio a causa del solo scorbuto.

Si deve agli studiosi anglosassoni, maestri nel campo della statistica, lo studio delle rotte attraverso gli Oceani. Essi introdussero una sistematica ricerca delle rotte brachistocroniche, ovvero quelle che permettevano una minor permanenza sul mare per una data rotta. Chi ancora oggi si avventura a vela usa ancora i risultati di quegli studi raccolti in un fantastico volume di navigazione il “Pratical Sailor Navigator” , la bibbia dei velisti, con l’aggiunta delle Pilot Chart che sono delle carte nautiche dove vengono riportate a seconde dell’oceano e del mese le statistiche di direzione e l’intensità dei venti.

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pilot chart dell’oceano indiano per il mese di giugno. Osservandola noterete dei circoli neri con delle frecce di varia lunghezza. I circoli corrispondono alla rosa dei venti  mentre  le frecce , a seconda della loro lunghezza e direzione ci danno un dato statistico. Ci dicono cioè la direzione del vento in funzione del numero di misurazioni. Più lunga la freccia più volte il vento è stato osservato spirare da quella direzione. 

A tutto questo si aggiungeva un altro terribile ostacolo, forse il più importante di tutti. Il calcolo della longitudine. E’ curioso notare che questo dato che oggi possiamo verificare in pochi secondi con uno smartphone,  sia stato per secoli un autentico dilemma e la causa, letteralmente, della morte di migliaia di marinai.

Basti pensare che nel 1707 quasi una intera flotta ( 4 navi su 5) comandata dall’ammiraglio di Sua Maestà Sir Clowdisley fini a scogli alle isole Shilly per un errore di calcolo della longitudine causando la scomparsa di duemila uomini. Due curiosità…la prima è che un marinaio cercò in tutti i modi di avvertire che secondo lui la longitudine era sbagliata. Venne, secondo tradizione, impiccato ! La seconda è che l’ammiraglio si salvò dal naufragio ma venne poi ucciso da un abitante delle isole al solo scopo di  rubargli un anello… quando si dice la sfortuna…

Nel mare, fatto salva la navigazione costiera, non ci sono punti di riferimento.Vediamo distintamente due problemi. Primo: il Nord e il Sud sono punti geografici noti e facilmente calcolabili fin dall’antichità. Per il Nord ad esempio si usa la stella Polare. Basta calcolare nel cielo la sua altezza in gradi sull’orizzonte per avere la latitudine.E’ sufficiente un semplice astrolabio ( il primo astrolabio trovato risale alla Grecia antica) ma volendo anche un goniometro con qualche piccola modifica può sostituirlo. A sud dell’equatore si usa la costellazione della Croce del Sud, visto che la stella Polare non sarebbe più visibile all’orizzonte. Il secondo problema riguarda l’Est e l’Ovest che sono invece solo una indicazione di riferimento rispetto a un meridiano Zero. Il meridiano di riferimento oggi è quello di Greenwich ma in passato ne vennero presi in considerazione anche altri.

Il calcolo della longitudine si è da sempre rivelato molto più complesso al punto che venne istituito dal parlamento inglese, con il famoso “longitude act” del 1714, un premio di 20.000 sterline (al giorno d’oggi 10.000 .000 di euro!!!) a chi avesse trovato il modo per calcolarla, a bordo di una imbarcazione, in modo semplice e preciso. Di storie della marineria legate alla longitudine sono piene interi volumi, intrisi di racconti per lo piu drammatici. Basti pensare che è anche capitato che si risalisse la costa cilena del Pacifico convinti di essere dalla parte opposta dell’Horn cioè lungo la costa Argentina. Si era solo sbagliato Oceano!

Dobbiamo ringraziare John Harrison, un orologiaio inglese, se la longitudine smise di essere un vero dilemma. Ma la narrazione dei dettagli diventerebbe davvero lunga per cui, almeno per coloro i quali fossero davvero interessati ad approfondire l’argomento raccomando la lettura del libercolo “ Longitudine” di Sobel Dava. Secondo me il più bel libro scritto sulla materia e una lettura che pur senza essere un avvincente romanzo d’appendice, alla fine ne assume gli aspetti e si legge tutto di un fiato in un pomeriggio. Tutti questi problemi, dicevamo, vennero finalmente risolti dapprima con l’introduzione dell’orologio di Harrison

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Il primo orologio di Harrison : il mitico H1 del 1735  custodito al National Maritime Museum di Greenwich e tuttora funzionante 

in seguito con l’adozione del sestante e quindi il sistema Loran fino ad arrivare al moderno Gps, che oggi possiamo comprare al supermercato per pochi Euro 🙂 Una piccola curiosità anche questa volta: nonostante il sistema messo a punto da Harrison con il suo orologio abbia dimostrato la sua validità non incassò mai il premio delle 20.000 sterline!

In ogni caso, dopo quanto narrato, si capisce bene che uno degli aspetti che più assillavano i marinai ma sopratutto gli armatori era quello di ridurre i tempi di navigazione e in sostanza la lunghezza delle rotte.

Basta osservare un mappamondo per capire come una rotta a Nord consentirebbe un risparmio di parecchie migliaia di miglia nautiche.

Sarebbe parimenti stato utile anche un passaggio a Nord Est , cioè a Nord della Russia, ma per un insieme di ragioni politiche e geografiche, che non sto a riportare giacchè renderebbero eccessivamente lunga la narrazione, venne cercato ben poche volte e tutte con infausto epilogo.

Con l’avvento della navigazione a motore, e di sistemi attendibili per il calcolo di latitudine e longitudine finisce un’era dove la fortuna pesava almeno quanto la abilità marinaresca. Il motore consentiva di non occuparsi della direzione dei venti portanti, accorciando considerevolmente le rotte che, in ogni caso, comprendevano fino al 1917 il passaggio dei tre più pericolosi capi oceanici. Horn, Buona Speranza e Leeuwin. Come dire i luoghi più temuti dai marinai di ogni epoca.

Con l’apertura dei due canali navigabili venne infine risolto anche il problema dell’accorciamento della navigazione e la ricerca del passaggio a Nord Ovest finì nel dimenticatoio.

Ma il passaggio venne comunque trovato! Ci riusci Roald Amundsen nel 1906 a bordo della goletta Gjoa passando dalla baia di Baffin fino allo stretto di Bering. Purtroppo l’estrema variabile dei ghiacci fa si che il passaggio non sia sempre percorribile e possa essere bloccato a volte per parecchi anni, il che lo rende ininfluente e inutile per la navigazione commerciale. Che io sappia il passaggio venne forzato ancora qualche volta. La prima nel 1948 dal “ St. Rock” uno schooner appartenente alla Royal Canadian Mounted Police e ora visibile a Vancouver presso il museo marittimo e poi nel 1969 dalla petroliera Manhattan opportunamente modificata in modo da renderla un “icebreaker”.

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                                                             Lo schooner St Rock.

Fin qui ci siamo occupati della ricerca del passaggio solo via mare. Ma va detto che venne cercato anche via terra o per meglio dire via fiume. Un semplice sguardo alla carta geografica del Nord America ci mostra una notevole quantità di fiumi che per la maggior parte del loro percorso sono navigabili. La speranza di trovare una via d’acqua che mettesse in comunicazione i due Oceani, l’Atlantico ed il Pacifico, attraverso la navigazione fluviale, alimentò le speranze di trovare una semplice e sicura via commerciale. Va ricordato che buona parte dei territori ad ovest dell’Ontario sono stati a lungo inesplorati e sulle carte veniva stampato semplicemente “ Unknown territories “. Basti pensare che la città di Vancouver, sulla costa del Pacifico, non esisteva fino a due secoli fa!

Nessuno poteva immaginare che la catena delle montagne rocciose che percorrono tutto il continente da Nord a Sud avrebbe reso vana questa ricerca.

Quando nel 1982 scesi il Mississippi-Missouri, mi imbattei più volte  con la storia della spedizione dei comandanti Meriwether Lewis e William Clarke del 1809 e del loro tentativo di raggiungere l’oceano Pacifico .

Gli Americani sono fantastici in queste cose. Se mai vi è capitato per girovagare per gli Stati Uniti troverete un numero impressionante di “historical site” con relativa targa e dettagliata spiegazione. La venerazione e il rispetto che hanno per la loro storia è davvero invidiabile. Il fiume Mississippi non fa eccezione e ricordo che di “Historical site” sulla mitica spedizione ne trovai parecchi lungo il percorso. Il mio interessamento al passaggio a Nord Ovest nasce proprio durante la mia navigazione fluviale del 1982, cosi come la decisione di approfondire in loco la questione, seguendo le tracce di quanti avevano cercato di trovare la leggendaria strada. Ed è così che il Nord è diventata  la mia seconda casa negli anni successivi e  dove ripercorrerò  tutti i tentativi effettuati nei secoli scorsi di forzare il passaggio via fiume. Per chi fosse curioso alla fine ci sono riuscito anche io 🙂

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replica dell’imbarcazione dei comandanti Lewis e Clarke messa in secca lungo le sponde del Mississippi  nel Montana

Informazioni su sergioborroni

medico per professione viaggiatore per diletto
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