Passiamo la notte in bianco sia per l’emozione, indubbiamente forte, ma anche per le ansie e le incertezze che ci tormentano . Dobbiamo affrontare un numero tale di incognite da lasciarci quantomeno perplessi e dubbiosi, ma sappiamo che alla fine partiremo.
Al mattino presto Bondo è già presso la piroga. Carichiamo tutto e in poco tempo siamo pronti a salpare. Le riserve di acqua potabile sono scarse, anche perché ottenerla col sistema della filtratura a pompa della katadyne è una operazione lunga e noiosissima. Per ovviare al problema imbarchiamo alcune casse di birra prodotta in Zaire. Non stupitevi più di quel tanto e non mettetevi a ridere. A parte che era ottima sia nella versione chiara che scura (rispettivamente “tembo” e “simba” che in swahili significa elefante e leone) ) la birra è un tipo di bevanda che si trova facilmente in tutto il mondo. E’ facile da fabbricarsi e spessissimo è di buona qualità. Purtroppo per la gente di colore è puro veleno come tutti gli alcoolici in genere. La capacità di ossidare l’alcool è una caratteristica quasi esclusiva dell’uomo bianco. Alla gente di colore, ma questo vale anche per indiani, inuit, aborigeni e via dicendo, l’alcool resta in circolo molto più a lungo rispetto a noi mancando il sistema enzimatico per essere metabolizzato a livello epatico. Ne consegue che bastano dosi minime di alcool per dare alla testa e per lungo tempo. Avremo anche modo di renderci conto personalmente dei guai provocati dalle bevande alcooliche da queste parti. Ma magari di questo ne parleremo in seguito.
Sistemazione del bagaglio
I saluti e lo stivaggio, ma sopratutto i primi, ci portano via parecchio tempo. Siamo stati un po adottati dalla popolazione e alla partenza quasi tutto il villaggio è presente lungo la riva. Per loro è un po’ un evento e tutti vengono a stringerci le mani o anche solo ad abbracciarci e toccarci.
Il villaggio ci saluta…..quasi pronti per la partenza.
Dobbiamo attraversare tutto il lago prima di trovare l’imbocco del fiume. Sono circa una sessantina di chilometri. Nulla di che intendiamoci, si certo nel lago ci sono anche coccodrilli e ippopotami, e questi ultimi, tralasciando l’immagine goffa e paciosa, sono davvero pericolosi se disturbati e notevolmente aggressivi. Ma per noi non è un problema, almeno sulla carta… Non dobbiamo di certo nuotarci nel lago ma attraversarlo su una “solida” piroga!
Partiti!
Solida almeno all’apparenza perchè dopo alcune ore, con orrore, scopriamo che stiamo andando letteralmente a fondo ! L’opera di calafataggio fatta da Bondo comincia progressivamente a cedere e l’acqua invade il fondo della piroga. Cominciamo a darci il cambio alla remata mentre uno dell’equipaggio, a turno, sgotta furiosamente con il fondo di una zucca vuota. La piroga cosi appesantita diventa un macigno da spingere e la velocità cala drasticamente. Adesso cominciamo ad essere veramente preoccupati, ma senza scelte di sorta. Dipendiamo in toto dalla nostra imbarcazione.
Bondo e la sua zucca “bugliolo”
Con fatica, ma davvero tanta fatica, teniamo il livello dell’acqua quasi costante. Bondo, per nostra fortuna, conosce il lago e ci fa dirigere verso una macchia all’orizzonte che scopriamo con grande gioia essere una isola. Per la verità chiamarla isola non è proprio esatto.
L’isola che non c’è!
La gente del luogo che deve avventurarsi sul fiume per vari giorni, si carica di paglia. Questa viene poi intrecciata e compattata su della ninfee che sorgono spontanee dal fondo del lago, e man mano che la gente arriva nuova paglia viene posizionata. Si formano cosi delle isole galleggianti formate da questo curioso intreccio di vegetazione e paglia. E siccome l’acqua in qualche modo filtra sempre, il fondo è perennemente umido ma stabile. Ci si può anche accendere il fuoco.
Riccardo cucina sulla paglia umida
Grazie alla nostra guida veniamo accolti sull’isola e possiamo fermarci per la notte. Montiamo la tenda e una frotta di bambini ci osserva incuriosita, mentre alcuni scappano impauriti vedendoci. Bondo ci dice che è perchè alcuni di loro non hanno ancora visto un “bwana” ( uomo bianco).
La tenda e i bambini visti attraverso la zanzariera.
Se non fosse per la nostra pietosa situazione mi sembrerebbe di vivere in un film, ma non serve darmi dei pizzicotti per capire che questa è la nostra attuale realtà! Cerchiamo in qualche modo di mettere mano al problema e a sistemare le vie d’acqua, ma pur dannandoci l’anima il risultato mi lascia parecchio perplesso.
Impieghiamo un altro paio di giornate a lavorare rabberciare e provare, e alla fine decidiamo di ripartire.
Ulteriori lavori sulla piroga.
Dobbiamo solo attendere la mattina seguente per verificare se abbiamo ottenuto qualche risultato decente. Durante la notte vengo svegliato da Bondo perché un bambino sta male e ha la febbre alta. Sa che sono un medico. Mi sento terribilmente impedito e inutile in questa situazione. Applico il metodo che mi aveva suggerito Jean Paul, il medico Belga della missione. Lui in caso di febbre comincia con dosi massicce di chinino. “Tanto nel 90% dei casi si tratta di malaria, se poi col chinino non passa cerco di capire cos’è” mi dice. Con un approccio del genere da noi si finirebbe probabilmente col vedere il cielo a strisce da qualche cella, ma qui siamo in piena foresta equatoriale, non si può perdere tempo con le diagnosi differenziali, non ce ne sarebbero nemmeno i mezzi!!
E quindi comincio a dare fondo alla nostra scorta di medicinali. Con Bondo che mi fa da interprete somministro la clorochina e ne lascio alla mamma parecchie dosi con tanto di istruzioni. Lei sorride e mi ringrazia tenendo il piccolo in braccio, io cerco di rincuorarla ma poi giro la testa perché mi accorgo che sto piangendo. Mi sento ridicolo e imbecille oltre che inutile.
Al mattino il bimbo sembra stare meglio ma la malaria è fetente davvero e io non posso fare molto di più per aiutare il piccolo.
Alla ripartenza di acqua sembra entrarne di meno, anche se il problema permane pur se con minore itensità. Una persona deve restare comunque fissa a sgottare per tenere la piroga entro un peso accettabile.
Nuova ripartenza
Giunti alla fine del lago imbocchiamo finalmente il grande fiume. La corrente anche se debole ci aiuta nel procedere e noi caparbiamente per qualche giorno andiamo avanti così.
Bondo alla voga di poppa
L’imbocco del fiume Zaire
Ci rendiamo però conto che procedere in queste condizioni, oltre che ad essere sinceramente pericoloso, davvero non ha senso. Così ad un villaggio lungo la riva ci fermiamo nuovamente. E’ tempo di prendere qualche decisione seria. E infatti una decisione seria la prendiamo. Restituiamo quindi la piroga a Bondo e lo salutiamo con sincero affetto augurandogli ogni bene. Una decisione meno seria invece sarà la ricerca di una nuova imbarcazione. Lo so sembra assurdo adesso pensarci, e raccontarlo mi imbarazza anche un poco, ma lo abbiamo fatto davvero. E ci siamo anche riusciti !
Piroghe monossili. quella al centro è quella che abbiamo comprato
Presso il villaggio riusciamo ad acquistare una nuova piroga, stavolta monossile, ovvero scavata nel legno. Per lo meno non dobbiamo più preoccuparci delle infiltrazioni d’acqua. Nuova partenza al mattino.
Riccardo e la gente lungo il fiume.
Per qualche giorno riusciamo a remare finalmente senza grossi problemi, e anzi con stupore veniamo accolti con gentilezza e ospitalità dalle popolazione rivierasche. Non chiedetemi come ma erano al corrente della nostra avventura ed inoltre erano informati che a bordo un componente era un uomo di medicina e che non c’era da temere nulla da noi.
Il sottoscritto alla voga di prua
Questa faccenda ci ha stupito parecchio, fintanto che un sacerdote presso una delle missioni del fiume ci racconta che in qualche modo le notizie scendono e risaligono lungo le sponde. Lui è sempre informato degli accadimenti, se ad esempio deve arrivare il piccolo aereo con i rifornimenti lui lo sa immancabilmente qualche giorno prima. Nonostante fosse li da piu di trent’anni, non sapeva ancora come le notizie viaggiassero. Ridendo ci disse che era il tam-tam della foresta. Non so se ci prendesse in giro, né quanto del suo racconto fosse attendibile, ma la storia è questa, e cosi come l’abbiamo vissuta io la racconto.
Ormai abbiamo capito che Il nostro progetto non potrà essere completato, per lo meno non nei termini che avevamo preventivato. Troppo tempo perso a Lubumbashi e poi alla missione e noi abbiamo solo 50 giorni da restare in Zaire. Ancora oggi non so esattamente dove ci siamo fermati né quanta strada effettivamente abbiamo compiuto. La posso solo calcolare molto a spanne e non credo piu di un migliaio di chilometri in totale sui quasi 4000 che erano nelle nostre intenzioni. Quando il tempo si avvicina alla scadenza dobbiamo abbandonare la canoa per cominciare a trovare il modo per rientrare alla capitale Kinshasa.
Riccardo ed io con la nostra seconda piroga.
Anche questo scopriremo non sarà né semplice nè meno avventuroso. Purtroppo i nomi dei luoghi sono nascosti nella mia memoria in cassetti che non so più aprire dopo cosi tanti anni.
L’abbandono del fiume prima del rientro.
In ogni caso, lasciato il fiume, prima troviamo un passaggio su un un camion che ci porta attraverso una infame pista fino ad una città dove esiste, o forse esisteva, una ferrovia che porta fino a Kinshasa. Di questo tragitto ferroviario su internet non ho mai trovato traccia ma per certo noi l’abbiamo percorso.
Il viaggio sul camion durerà tre giorni, e li passeremo quasi tutti sdraiati sopra il telo messo a copertura del pianale. . All’interno è praticamente impossibile anche solo provare ad entrarci. In piedi stipati come sardine io credo che ci saranno state non meno di cinquanta persone, ma probabilmente il calcolo è fatto per difetto.
Seguiranno poi alcuni giorni sul treno per Kinshasa.
Dopo l’isola che non c’è anche il treno di cui non esiste traccia da nessuna parte.
Il treno attraversa a velocità ridicola tutta la foresta equatoriale. Credo che potremmo correre più velocemente a piedi ma piano piano ci porta a destinazione. Ogni tanto si ferma senza apparente ragione, ogni tanto carica delle persone su richiesta, e alla fine anche noi ci abituiamo al suo ritmo.
Sul nostro vagone dormiamo cuciniamo e mangiamo per svariati giorni. Nessuno dice nulla nemmeno quando accendiamo il fornello per scaldarci qualche cosa.
A Kinshasa arriviamo lerci , stracciati e distrutti.
Ci dirigiamo verso la casa madre della Sadelmi che già ci aveva ospitati a Lubumbashi.
Saranno propio i dipendenti di questa società che ci regaleranno gli abiti con cui cambiarci e rientrare in Italia.
All’ aeroporto di Milano la mamma di Riccardo non lo ha riconosciuto !
Epilogo:
Riccardo Fiocchini.
Vive e lavora in Val D’Aosta. Coltivo sempre il sogno di fare qualche altro viaggio con lui e so che prima o poi succederà
Zio Franco ( il console)
Ci siamo mandati gli auguri per qualche anno ma poi ho perso i contatti. Reputo si sia ormai ritirato dall’attività diplomatica.
Zio Mario ( il segretario)
Ci siamo rivisti a Milano e abbiamo mantenuto i rapporti. Anche lui è ormai pensionato
Jean Paul ( il medico belga)
Non ho più avuto notizie di lui dopo un paio d’ anni. Non so dove sia finito.
Bondo
Non ho mai più saputo nulla di lui. provai a chiedere informazioni a Jean Paul ma anche lui brancolava nel buio. Spero non sia affondato nel lago nel tentativo di tornare a casa.
Sergio sei strepitoso!!!
Bravo Sergio! Racconto avvincente. Certo che devi avere davvero una buona stella a proteggerti…! Nonostante l’intrepido carattere… direi che un bel viaggetto con te, magari un’avventura in barca a vela, lo farei volentieri…! Eh, eh, ih, ih, uha, uhaaaaaa!
Orgogliosa di te…..
Avevo vagamente capito che sei un tipo avventuroso e non da poco tempo, ma leggere di questa avventura, di questa spedizione, in quegli anni con quei mezzi, bé, non posso che congratularmi per la caparbietà e la capacità di viaggiare in direzione ostinata e contraria. Complimenti Sergio e complimenti al tuo amico Riccardo. Indubbiamente riproverete qualcosa insieme.